Marco Ferrara, Architetto, Docente, e promotore dell’Open Source di Irriverender · Pubblicato 5 Gennaio 2018 · Aggiornato 20 Novembre 2022 Intervista curata da IRRIVERENDER ARCH. BONNÌ Intervista a Marco Ferrara, architetto, docente del Politecnico alla Scuola di Design, e promotore della cultura Open Source. Ciao Marco, prima di tutto le presentazioni: età, provenienza, formazione, professione, passioni… 41 anni, nato e cresciuto a Catania, formazione artistica, ho studiato architettura a Firenze dove ho vissuto per circa 10 anni, da circa 12 anni vivo a Milano dove lavoro come architetto e docente presso la scuola del Design del Politecnico di Milano. Non ho passioni specifiche ma tendo ad appassionarmi quotidianamente: ho amato molto il cinema (adesso meno: preferisco le serie perché hanno un respiro maggiore, sono l’equivalente contemporaneo del romanzo ottocentesco), amo il teatro, l’architettura e le arti in generale, mi interesso al pensiero politico e alla storia, la scienza mi incuriosisce moltissimo e mi piace giocare con la matematica e la programmazione… Ti sei laureato con una tesi a cavallo tra architettura, scenografia e cinema: quanto questi mondi si intrecciano nelle ambientazioni 3D? La tesi di laurea prende le mosse dalla tradizione architettonica rinascimentale e barocca della costruzione dell’illusione attraverso l’uso scenografico della geometria proiettiva. E se si parla di illusione il passaggio al cinema è brevissimo: la persistenza della visione, l’illusione del movimento… e per dare forza a questi aspetti per la tesi ho scelto di usare la pellicola super8 (dove il frame è reale, il meccanismo della finzione può essere toccato concretamente) al posto del video. Il digitale, e quindi la modellazione 3D, sono serviti a rendere veloce, economico ed efficiente il processo creativo e la sua realizzazione [maggiori dettagli sono pubblicati qui, mentre altri contenuti relativi alla realizzazione sono disponibili qui, qui e qui. Come nasce il progetto software libero per l’architettura? Quali le finalità? Software libero per l’architettura nasce nel 2010 quando io e mia moglie (anche lei è un architetto) abbiamo smesso di lavorare per conto di altri studi professionali per metterci in proprio. Erano i primi anni della crisi economica per cui la scelta del software libero è venuta innanzitutto per ovvie motivazioni di risparmio. Ma non è stato solo questo: in quel periodo si percepiva nella società il bisogno di un recupero di valori etici che rendesse l’agire quotidiano più equo e più giusto. Il software libero rappresentava – ed è tutt’ora – un modello economico alternativo: un modello in cui la principale risorsa è la conoscenza e la logica dominante è quella della ridistribuzione di tale ricchezza attraverso la condivisione, in opposizione alla concentrazione delle risorse. Lo scopo del progetto è quello di promuovere la cultura open e gli strumenti liberi nell’ambito professionale dove, invece, predomina l’uso di strumenti proprietari prodotti da poche grandi aziende commerciali (Adobe e Autodesk). Si tratta di software spesso molto costosi, che impongono condizioni sempre più vincolanti attraverso l’adozione di formati proprietari o l’uso di licenze “subscription”: questo si traduce inevitabilmente in una riduzione del campo di libertà del libero professionista ed una conseguente riduzione delle proprie potenzialità creative ed imprenditoriali. Quali le prassi virtuose per una didattica opensource? E quali le discipline coinvolte? Sulla didattica e l’educazione in generale è in corso una grande riflessione a livello mondiale perché il modello tradizionale di classe e di scuola non riesce più a rispondere adeguatamente alle esigenze di una società molto più complessa e più estesa di quella novecentesca. Si parla molto di didattica innovativa, di MOOC, di flipped classroom… la riflessione è profonda e coinvolge pedagoghi, docenti, psicologi, informatici… perfino gli architetti (che sono chiamati a progettare nuovi spazi per l’edilizia scolastica e l’educazione). In questo contesto la cultura open sta svolgendo un ruolo molto importante promuovendo logiche di inclusione, accessibilità, condivisione: basti pensare al grande rilievo che stanno assumendo le OER, Open Educational Resources, nella discussione. Con la dizione “didattica opensource” credo che tu faccia riferimento ad un mio articolo in cui tracciavo alcune note a partire dal lavoro svolto durante un corso che ho tenuto alla Scuola del Design del Politecnico di Milano. Credo che quell’esperienza sia stata utile per ragionare sulla relazione tra didattica e cultura open ma si è trattato solo di un primo passo in una ricerca che continua tuttora: a circa 4 anni da quel corso questo lavoro di sperimentazione prosegue nei corsi che tengo ogni anno. Negli ultimi corsi, ad esempio, ho provato ad adottare strumenti come Git e GitHub per rendere più efficiente il processo di apprendimento, produzione, revisione e collaborazione tra studenti. I risultati sono interessanti (e spero in futuro di avere il tempo di condividerli scrivendo qualche articolo a riguardo) ma non è possibile ancora dire parole definitive sul tema. Come sta reagendo il mondo accademico rispetto allo strumento open source? Il mondo accademico, come tutti gli altri “mondi”, è molto variegato ed è difficile parlarne come se fosse un’entità omogenea: l’università è fatta di persone e sono queste che determinano le politiche e le priorità da adottare. E come è facile immaginare queste cambiano da corso a corso, da indirizzo ad indirizzo, da scuola a scuola, da ateneo ad ateneo. In generale posso dire che il rinnovamento della didattica è un’urgenza ormai diffusamente sentita, anche grazie ai fondi e ai finanziamenti ministeriali messi a disposizione per chi lavora in tal senso. In questo rinnovamento gli strumenti open hanno indubbiamente un importante rilievo. Purtroppo ci sono ancora molti pregiudizi su questi strumenti… Ci parli della tua attività come docente al Politecnico di Milano? Sono un docente a contratto presso la Scuola del Design. Insegno dal 2008 discipline relative al disegno manuale e digitale all’interno del corso di laurea in Design degli Interni. Quali le resistenze? e quali le oggettive criticità nel formare prevalentemente su software open source? Le resistenze sono diverse, sia da parte degli studenti che da parte dei colleghi docenti. In alcuni casi queste sono dovute semplicemente a pregiudizi o alla non conoscenza di tali strumenti. Ci sono tuttavia altre ragioni che rendono oggettivamente difficile una simile scelta di campo come, ad esempio, il fatto che questi strumenti non siano quelli prevalentemente richiesti dal mercato del lavoro. Il problema non è banalizzabile e dipende da molti fattori: quale tipo di figura professionale si vuole formare (autonomo o dipendente), quale settore del mercato si vuole coprire, qual è il numero di studenti da formare, quale livello di qualità si vuole raggiungere, quali sono le risorse disponibili per la formazione, quanti assistenti… Quando si parla di libertà – e di questo si parla quando si parla di free software – il problema diventa politico e riguarda i valori personali e la propria visione del mondo: è quindi normale che ci siano resistenze e criticità. Ci parli del progetto Liberi Saperi? LiberiSaperi è la “costola operativa” del progetto Software libero per l’architettura. E’ una piattaforma Moodle per l’e-learning che abbiamo costruito per erogare corsi di formazione on-line accreditati sugli strumenti open (ed anche qualche freeware) utili ai progettisti. L’abbiamo usata nel primo triennio della sperimentazione sulla formazione obbligatoria (2014-2016) strutturando un’offerta formativa fatta di piccoli corsi (9-12 ore) per piccole classi (max 12 iscritti). La didattica è sincrona (abbiamo usato BigBlueButton, un ottimo strumento open per creare classi virtuali) per permettere una piena interazione tra docente ed allievo. Nei due anni effettivi di operatività abbiamo avuto circa 200 iscrizioni all’anno. Attualmente l’attività formativa è sospesa per i numerosi impegni provenienti dall’attività professionale e dall’università. Quali i software open source di cui ti occupi, quali discipline riguardano e quali sono stati accolti positivamente dal mercato del lavoro? Mi sono sempre occupato dell’ambito del disegno e della progettazione, prima con i software proprietari e adesso attraverso gli strumenti liberi. I software che uso sono QCAD e FreeCAD per il disegno CAD; GIMP e Krita per la grafica raster, Inkscape per la grafica vettoriale, Blender per la modellazione e il rendering. Inoltre sono sempre stato interessato alla programmazione per cui mi trovo spesso a scrivere piccoli script in Python per uso personale (spesso applicati in ambito didattico) o pagine web in HTML, CSS e Javascript. Difficile parlare di mercato del lavoro in questo momento storico: la crisi ha minato fortemente gli assetti consolidati, le nuove attività imprenditoriali sono spesso start-up che hanno nella sperimentazione e nell’innovazione la propria naturale vocazione ed non è facile delineare lo scenario attuale. Tra i software citati credo che Blender sia quello che gode di maggior apprezzamento, ma anche Gimp ha uno zoccolo duro di utilizzatori e Krita sta crescendo. Che suggerimenti dai ai neolaureati e ai neolavoratori (per quanto riguarda le professioni tecniche) riguardo all’uso dei software nella professione? Suggerirei di imparare a programmare. Non tanto per scrivere software ma per capire cosa è e come funziona la macchina con cui lavorano. Oggi i principali produttori di software, a partire da Windows e Apple, ma anche Autodesk e Adobe, stanno dirigendo la propria politica sempre di più verso l’idea di “software come servizio” (SaaS) e considerano l’utente come un semplice consumatore di tale servizio. Voglio chiarire che si tratta di una strategia di mercato assolutamente lecita che ha anche alcuni aspetti di convenienza per l’utente. Tuttavia, attraverso questa logica, stiamo assistendo al passaggio degli strumenti di produzione dall’autore dell’opera al fornitore del servizio. E temo che la perdita della proprietà dello strumento di produzione avrà una ricaduta negativa sulla qualità e sulla ricchezza espressiva che la nostra società può produrre. Come contenere questo processo? Con più conoscenza, sforzandosi di capire il perché delle cose, comprendendo le logiche che usa il computer e i suoi linguaggi, abituandosi ad “aprire il cofano” ogni tanto. FONTE Effettuare il login per mettere i like